Tornare a casa dopo il full immersion, alzarsi al mattino, soli, al buio, srotolare il tappetino…
Ho deciso di scrivere un post su questo argomento perché oltre ad esserci passato direttamente (più di una volta) noto come molti dei partecipanti ai corsi in formula residenziale full immersion poi al ritorno a casa, dopo un primo momento in cui respirano ancora l’aria e l’energia del corso, vivono una fase di difficoltà e sconforto e vorrei fare una riflessione su questo argomento, secondo una prospettiva yogica.
Durante un full immersion si vive, giorno dopo giorno, un’esperienza di trasformazione, a tratti dura e difficile ma che si accompagna, quando c’è impegno nel partecipante, sempre ad un netto miglioramento della sua pratica e ad un alleggerimento del suo bagaglio emotivo. Nonostante i ritmi di pratica quotidiani siano duri e la richiesta di energia sia costante fino all’ultimo giorno, il sostegno del gruppo, la determinazione data da un obbiettivo riconoscibile, il sostegno degli insegnanti, e , ultimo ma non meno importante, l’assenza di altri stimoli, distrazioni o fonti di stress, permettono di sentire una connessione diretta, profonda con quella sorgente effettivamente inesauribile di energia a cui tutti possiamo attingere.
Poi si torna a casa e come detto per qualche giorno , anche per nostalgia e per il desiderio di tenere viva quella fiamma sacra, si mantengono alti il ritmo e l’entusiasmo nella pratica e con essi anche i risultati esteriori. Ma dopo un po’ di tempo risulta difficile mantenere lo stesso standard, ci si alza al mattino e si è soli, magari con l’arrivo della stagione invernale fa freddo, è buio e sentiamo la mancanza degli altri, dell’insegnante, della luce. Srotolare il tappetino diventa allora in alcuni casi faticoso e frutto di una forte disciplina, magari la frequenza di pratica diventa meno costante e ci capita di vedere un leggero calo delle nostre abilità acquisite, e questo effetto è per molti fonte di demoralizzazione. E allora non vediamo l’ora di andare ad un altro ritiro, un altro full immersion che ci riaccenda quella fiamma,che ci faccia sentire ancora in piena forma.
Questa è una cosa assolutamente normale, quindi se tu che leggi e che hai partecipato ad un residenziale lo stai provando sappi che è umano, che sei ancora un/una praticante in gamba e che esiste ancora quella connessione profonda con la fonte inesauribile di energia, va tutto bene! Occorre solo imparare a capire che la nostra pratica, nelle sue forme esteriori è si soggetta anche alle condizioni ambientali ed esterne, ma nella sua forma più profonda che è quella di un cammino , è sempre in marcia, sempre in crescita, sempre in via di miglioramento, fino a quando abbiamo intenzione di camminare. E’ proprio come un cammino, ci sono tratti più ripidi e scoscesi, più faticosi, più leggeri, tratti che facciamo in compagnia e tratti che facciamo da soli, abbiamo sempre però l’opportunità straordinaria di studiarci, di osservarci e di conoscerci sempre meglio.
Allora in questa fase di difficoltà abbiamo un altro terreno di studio del sé (svadhyaia) dovremo imparare a conoscere quali ritmi possiamo costruire nella nostra quotidianità non solo per adattarvisi, ma per migliorarla! Possiamo cambiare tanto se partiamo dal poco, se invece pensiamo ai cambiamenti colossali di solito rimaniamo schiacciati nella routine e diamo la colpa alla pigrizia. Impariamo ad “adescarci” e quando ci alziamo al mattino ci promettiamo di fare un po’ di meditazione, qualche saluto al sole e qualche asana a terra, poi magari il giorno dopo faremo altro, il pranayama, le posizioni di equilibrio, in piedi, sulle mani etc.. costruiamo un programma settimanale che ci faccia venire una voglia sempre crescente di sentire il suono della sveglia, cosa possibile anche se può sembrare un paradosso. E se proprio non ne vogliamo sapere di praticare al mattino allora impariamo a ritagliarci un momento sacro quotidiano che possa avere la stessa qualità del mattino presto, cioè di essere un attimo di raccoglimento indisturbato e avulso dalle distrazioni esterne.
Così magari andremo ancora ad uno o tanti full immersion senza però avere il contraccolpo del post, oppure imparando ad accettarlo e a riprogrammare la pratica osservando i miglioramenti lenti e costanti che questa produce.