Oggi è l’ulimo tiorno in India. Gli ultimi due giorni sono stati pesanti, pesantissimi direi. Il nostro programma è stato stravolto. Niente villaggio dello zio, abbiamo dormito in un paesino, Shrawana Belegola, dove si trova il primo tempio giainista. Ancora adesso non so bene come siano andate le cose. Probabilmente non ho capito io le parole di Rameshji quando mi diceva cosa avremmo fatto e dove saremmo andate (a parte la pronuncia, non conosco i nomi dei villaggi e dei posti), fatto sta che il programma prevedeva che rimanessimo in questo villaggio per due giorni come appoggio per le nostre gite. Mi è sembrato di capire che una volta arrivate si sia scoperto che non esistesse un albergo, o forse noi abbiamo pensato automaticamente di dormire in albergo, ma in India trovi solo alberghi di lusso o posti assurdi. Ci troviamo in una stanzetta con le sbarre (in India tutte le finestre in realtà hanno le sbarre perchè le scimmie, se riescono a entrare, fanno scempio di tutto), due letti di metallo, una sedia di plastica. Il complesso è fatto da costruzioni fatiscenti, il nostro blocco è, per fortuna,il più nuovo. Entrando si sente odore di detersivo per i pavimenti, un po’ ospedaliero. Siamo ancora convinte di andare al villaggio dello zio e dormire là la notte seguente per cui lo prendiamo come un posto provvisorio, ma a cena, la sera, scopriamo che in realtà staremo lì anche la notte seguente per poi andare all’aeroporto l’ultimo giorno. Niente zio, niente yagna, niente fugace esperienza di vita al villaggio. Peccato. Alcune persone non se la sentono di stare in quel posto e decidono che il giorno dopo andranno via, all’aeroporto e qui mi trovo di fronte a un bivio. Cosa faccio? Dividiamo il gruppo? Siamo partite in 7 e torniamo in 7, mi dico. Oltretutto il gruppo, qualsiasi cosa accada, ti salvaguarda. Abbiamo già visto tante cose, possiamo anche andare via il giorno dopo, dopo aver visto il tempio e stare una notte a Bangalore, vicino all’areoporto. C’è tensione. La tensione e la fatica accumulate durante il viaggio e l’esperienza cominciano a montare. Vorreifar finire il viaggio adesso. Poter prendere il volo subito ed evitare quello che so già accadrà nelle prossime ore. Per cercare di accontentare tutti si scontentano tutti e quando non c’è più dialogo e ognuno sta fermo sulle proprie posizioni c’è lo scontro. I punti di vista di ognuno diventano assolute verità, l’unica verità possibile e accettabile in quel momento. Non c’è più dialogo nè incontro, solo recriminazioni. Alle 5 di mattina sentiamo urlare e bussare alle porte delle camere. Parlano in kannada, non si capisce niente, l’effetto è surreale, ma poichè Sheethal non ci viene a dire nulla confido nel fatto che sia una sveglia prevista per tutti. Mi smbra ei sentire rumore di secchi e nel dormiveglia penso che probabilmente stiano facendo le pulizie. Quando ci alziamo Sheethal ci spiegail perchè di quella baraonda: ci stavano avvisando che l’acqua calda era a disposizione. L’acqua calda, ch enoi diamo per scontata. Apri il rubinetto ed esce. Qui è un evento straordinario e incredibile.
La mattina successiva andiamo a vedere il tempio di Bahubani Bagwal, il primo tempio giainista. Per salire tocca affrontare una lunga e faticosa scalinata. La trovo assolutamente appropriata e calzante al momento. La crescita è un percorso spesso faticoso, a volte doloroso, ma alla fine puoi scorgerne la bellezza assoluta e così arrivate in cima, ci si apre un panorama meraviglioso. Finalmente un posto silenzioso, dove non arrivano clacson, dove nessuno urla, l’aria non sa di nulla. La mente può finalmente fermarsi e stare. Durante la salita ci superano due indiani comoletamente nudi. Uno dei due si abbraccia per scaldarsi, stiamo salendo e non fa caldo. Mentre salgono le persone che stanno scendendo si inginocchiano davanti a loro e gli toccano i piedi. Entrate nel tempio abbiamo la fortuna di assistere alla pooja. Ci sono solo una decina di persone sparse nel tempio, ai piedi della statua di questo re che un giorno ha deciso di spogliarsi di tutto e ritirarsi in meditazione. La statua è imponente, 18 metri ricavati da un blocco unico. Compaiono i due indiani nudi che partecipano alla pooja come “ospiti d’onore”. Rimango seduta a osservare in disparte quel momento unico e irripetibile. Mi immagino che quella possa essere l’iniziazione a qualcosa di più grande per questi due indiani. Al termine della pooja un altro indiano ci porta a vedere le statue del tempio e poi, attraverso una porticina, uno squarcio di infinito.
La giornata si conclude in un resort nei pressi dell’aeroporto, intorno a un tavolo a litigare.