Da un po’ di tempo sto lavorando in parallelo su alcuni asana che hanno un’apparenza molto acrobatica e spettacolare e questo mi spinge a scrivere alcune righe per esprimere ciò che comporta in me , condividendolo.
Chiaramente acquisire capacità e abilità nuove fa piacere a tutti, è umano e per quanto passino gli anni è naturale che il bambino interiore sorrida all’idea di avere imparato qualcosa di nuovo e di essere bravo o anche solo capace di fare qualcosa di difficile. Tuttavia è utile capire come questo si inserisca in un percorso spirituale quale è lo yoga, astenersi da questo processo di auto osservazione ci espone al rischio di essere sedotti dagli aspetti edonistici e autoreferenziali che la pratica acrobatica contiene senza alcun dubbio.
A cosa serve mettere il piede dietro la testa? A cosa serve sollevarsi da terra mantenendosi in equilibrio sulle mani? La risposta è contenuta nella comprensione degli aforismi di Patanjali sullo yoga: il successo nel cammino spirituale è dato da un rapporto equilibrato di pratica(abhyasa) e non attaccamento (vairagya). Nello sport , specialmente in quello agonistico, l’atleta si sacrifica in ogni modo possibile per ottenere la vittoria nella gara e dedica ogni suo sforzo quotidiano al raggiungimento di questa meta. Nella pratica dello yoga il sadhaka (praticante) dedica ogni suo sforzo al raggiungimento della liberazione dai pesi e dai disturbi della mente, per conoscere la sua vera natura di creatura illuminata. Ogni giorno, la sua pratica lo mette nella condizione di superare gli ostacoli rappresentati da pigrizia, distrazione, agitazione o preoccupazioni, la pratica gli dona forza e disciplina (tapas) una grande quantità di forza in più che a sua volta verrà spesa per migliorarsi nel non attaccamento, verrà spesa per studiare se stessi (svadhyaya) e per fare qualcosa di buono del proprio tempo mortale nutrendo e abbracciando il sé superiore o quello che identifichiamo con la più alta forma di coscienza esistente (ishvara pranidana). Mettersi il piede dietro alla testa mi serve oggi per capire che posso trascendere lo sforzo compiuto per effettuare quel gesto, respirandoci dentro e lasciando andare le tensioni fisiche ed emotive, mi serve domani per lavorare sull’asana di oggi ancora e con spirito rinnovato, forte dell’esperienza di ieri e, una volta conseguita la stabilità in quell’asana per farne uno successivo che prevede quella capacità come punto di partenza o presupposto necessario. Non c’è tempo quindi per sedersi sugli allori o per bearsi dell’acrobazia. Addirittura Vanda Scaravelli nel suo bellissimo libro awakening your spine definisce “di cattivo gusto” gioire per il fatto di riuscire a compiere un gesto acrobatico. Potrà magari sembrare un atteggiamento troppo austero e castrante, ma in fondo è il filo del rasoio su cui camminiamo nel praticare yoga attraverso lo studio degli asana. Lo studio e la pratica degli asana sono rivolti a metterci sempre di fronte allo sforzo di trovare la volontà di praticare quotidianamente indipendentemente dagli ostacoli e di studiare noi stessi nel corpo, nella mente e nelle emozioni (per chi ci crede o lo percepisce nello spirito), solo così può credibilmente essere considerato un percorso spirituale e non una mera pratica ginnica volta a dar sfoggio di abilità. La dimostrazione delle abilità può e deve ispirare altri spiriti virtuosi alla scoperta di sè! Ispirare e non generare invidia o frustrazione, pertanto mostrare e dimostrare anche gli asana più acrobatici ha un valore nel cammino spirituale addirittura apre una prospettiva alla condivisione che spesso la sola pratica, specialmente se non correttamente supportata dal non attaccamento, non genera, portando invece il sadhaka ad un triste atteggiamento di isolamento e chiusura (si legga la leggenda di Bharadvaja a questo proposito) .
Studio pratica e non attaccamento. Quest’ultimo aspetto in particolare rende la frase di Vanda Scaravelli particolarmente sensata, se non impariamo il valore del distacco emotivo e della non identificazione con ciò che è impermanente e materiale finiamo per lavorare alla costruzione di un gigantesco castello di sabbia. Praticare gli asana con un atteggiamento equilibrato significa invece divertirsi a giocare a castelli di sabbia, consapevoli del fatto che il loro senso è nel presente, nel gioco e non nel castello in sé ne tantomeno nel suo possesso.

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