La pratica é l’esercizio ripetuto delle discipline che portano a stabilizzare la trascendenza dei vortici della mente.
La pratica diventa stabile quando é stata esercitata per lungo tempo ininterrottamente e con sincera devozione
Il non attaccamento é la padronanza di se stessi; è libertà dal desiderio di ció che si é visto o udito.
Patanjali yoga sutra 13-15

Le onde della mente possono fluire in due direzioni opposte: sia verso il mondo oggettivo (la volontà del desiderio) che verso la vera conoscenza di se stessi (la volontà della liberazione) . É per questo che sono necessari sia la pratica che il non attaccamento. Infatti, é inutile e persino pericoloso provare l’una senza l’altro: se cerchiamo di praticare le discipline spirituali senza tentare di trascendere le onde pensiero del desiderio , la mente diventerà violentemente agitata , o magari squilibrata per sempre. Se tentiamo soltanto un controllo rigido e negativo delle onde del desiderio, senza creare onde di amore, compassione e devozione per opporle ad esse, il risultato puó essere anche piú tragico. Questa é la ragione per cui certi rigidi puritani si suicidano improvvisamente e misteriosamente. Essi fanno uno sforzo freddo e austero per essere buoni, cioé per non avere cattivi pensieri e quando falliscono, come capita a volte e naturalmente a tutti gli esseri umani, non possono sopportare il peso di una tale umiliazione, che in realtà non è altro che orgoglio ferito, ed il loro vuoto interiore. Nelle scritture taoiste leggiamo : il Cielo arma di compassione coloro che non vuol vedere distrutti.
(commento agli yoga sutra di Patanjali di Swami Prabhavananda.

Aggiungerei che il cammino di un aikidoka, non dissimile in questo da quello dello yogi/yogini , a patto che sia una persona che vuole realizzare il suo potenziale di essere umano e percorrere un sentiero di crescita spirituale anche per mezzo della pratica dell’aikido, è disseminato di insidie proprie della natura umana e della struttura che l’uomo tende a dare alle discipline che pratica. Gradi, titoli, lignaggi, organizzazioni, riconoscimenti, onorificenze sono “pesi” che solo chi ha un’anima davvero leggera riesce a sostenere. Per tutti gli altri sono gli oggetti che popolano gran parte dei vortici della mente di cui parlava Patanjali. Non ho una ricetta per risolvere il problema, vorrei solo che ne fossimo consapevoli e attenti, una bella immagine la diede Fujimoto sensei in un’intervista, l’immagine del pulcino e della gallina, io aggiungerei che se proprio il grado ha un valore vero dovrebbe essere quello di creare dei gruppi di esperti ricercatori che insieme e per il bene comune condividano la loro grande esperienza , e che il grado dovrebbe arrivare quando non è cercato, ne tantomeno quando se ne ha l’aspettativa. Se il nostro keikogi bianco si deve sporcare meglio che lo faccia del nostro e dell’altrui sudore che sono la nostra acqua Santa.
Max