Qualche decennio fa se in un bar c’era un flipper diventa a in breve tempo un totem attorno al quale si radunavano persone e compagnie.
Oggi il flipper è un oggetto ei modernariato che puntualmente rimane inutilizzato. Significa forse che le persone sono cambiate? In realtà credo proprio di no. Se nello stesso bar ci fossero stati tanti flipper quante le persone presenti probabilmente si sarebbe verificato qualcosa di simile alla scena ormai consueta di quando si entra in un locale e si vede un gruppo di ragazzi e ragazze seduti ad un tavolo e ognuno col viso illuminato dallo schermo del proprio smartphone personale.
Il punto è che l’essere umano è fatto a strati e questo Patanjali l’ha ben descritto nei sutra. Uno di questi strati prova un forte anelito all’unione con l’altro, alla comunione, mentre un altro strato, quello in cui si generano i bisogni della mente e del corpo, è fondamentalmente egoista e pigro, quindi mira alla immediata soddisfazione di un bisogno e non ha alcun interesse verso la condivisione, che invece, in questo strato nasce dalla difficoltà di soddisfare immediatamente e in modo egocentrico il proprio bisogno. Ma per un gioco ben concertato dall’intreccio di questi strati facciamo talvolta di necessità virtù come nel esempio del flipper in cui il bisogno di distrazione e divertimento comporta anche una parte di competizione o di spettacolarizzazione che rendono necessario un interlocutore per avvenire, oppure la condivisione di un pasto che nasce da un bisogno egoistico di non sentirsi soli, bisogno che quando è soddisfatto da uno smartphone puó rendere superflua, sempre ben inteso in questo strato dell’essere umano, la presenza di un’altra persona, o peggio ancora renderla fastidiosa!
Siccome un tratto caratteristico della società consumistica è la continua generazione di bisogni da soddisfare e la fornitura di prodotti e servizi sempre piú individuali per soddisfarli, ci troviamo a precipitare in un vortice che conduce ad allontanarci l’uno dall’altro, convinti di diventare invece persone sempre piú grandi, importanti e preziose proprio perchè siamo in grado di soddisfare sempre piú bisogni, e lo facciamo da soli!
L’unico antidoto a questo è la saggezza, abbiamo bisogno di incontrare il nostro Virgilio e la nostra Beatrice per farci condurre fuori da questo tunnel, attraverso lo strumento della consapevolezza. Ma consapevolezza di cosa? Ad esempio di non avere realmente quei bisogni impellenti che riteniamo di avere, oppure di osservarli e renderci conto che per quanto questi bisogni esistano in una parte di noi, non siamo NOI o meglio noi non siamo quello e siciramente non solo quello!
La meditazione deve la sua efficacia come strumento di crescita personale proprio a questo atteggiamemto di osservazione calma e indisturbata, cosí diversa, potrei dire opposta, alla frenesia compulsiva con cui si cercano strumenti per soddisfare i propri bisogni.
Meditando possiamo trovare un luogo calmo dentro noi stessi in cui sentire ciò che siamo, sentire che siamo e basta, e che questo è fondamentalemente abbastanza, rendendo ogni singolo bisogno percepito come un ologramma vuoto, privo di consistenza. E possiamo ritrovare quell’anelito genuino verso l’altro, che è avulso da qualunque secondo fine, che non è strumentale alla soddisfazione di un bisogno, perchè parte dalla quiete, dalla calma, dall’assenza di bisogni, e che esiste solo per la gioia e la grazia che l’incontro con l’altro possono donare.
Durante lo scorso week end Silvia e Beatrice hanno condiviso uno stand, un’ora di free class tanti momenti ed esperienze, non tanto perchè avessero bisogno di spezzare un pane per sfamarsi, ma per il piacere e la gioia di farlo, per l’amore della condivisione, credo che cose come queste siano un faro per la nostra Società.