Nella tradizione indiana si dice che l’albero della vita sia rovesciato, cioè con le radici in alto e i rami in basso.
Ugualmente l’essere umano ha le radici nel cervello, il tronco nel midollo allungato e nei vasi venosi e arteriosi centrali e le diramazioni periferiche dei nervi , vene e arterie.
Questi sono i canali che trasportano la nostra energia sotto varie forme, i canali che devono essere “resi puliti” dalla pratica delle asana perché il/la praticante abbia nel corpo uno strumento valido per la realizzazione del proprio potenziale umano, sia nel rapporto con il sé che nell’ambito delle relazioni.
Quello che voglio riportare in questo spunto è un detto che riguarda un lavoro piuttosto frequente nella pratica delle asana, cioè la flessione in avanti e indietro della schiena.
La sollecitazione che si effettua sulla colonna vertebrale e quindi sul  midollo spinale può essere piuttosto intensa in entrambe e comporta un proprio particolare “stato mentale” associato.
Flettendosi in avanti (ad esempio in pascimottanasana o posa della flessione intensa del dorso da seduti) il sadhaka  ha un appoggio stabile a terra e la mente è libera di pensare, mentre nella flessione indietro (ad esempio in ustrasana o posa del cammello, o in supta vayrasana o posa del fulmine rovesciato) la mente è completamente concentrata e “chiusa” , assorbita dal manetnimento della postura ma l’equilibrio è precario, può cedere.
Pertanto si dice che chi esagera nelle flessioni indietro avrà una mente lucida e grande capacità di concentrazione ma correrà il rischio di cedere, cioè avrà poca stabilità mentale, mentre chi esagera con le flessioni in avanti avrà stabilità ma la sua mente tenderà alla distrazione.
Come sempre il buon senso ci soccorre e possiamo dosare queste sollecitazioni e le loro conseguenze sulla nostra crescita interiore basandoci sulle sensazioni corporee, sull’ascolto di noi stessi mentre pratichiamo cercando di essere equilibrati nella distribuzione delle asana che adottiamo durante la nostra pratica quotidiana.