Oggi giornata di gita, non si pratica. L’appuntamento è per le 7, riusciamo a partire per le 10 carichi di dolci nella pancia e in borsa, dopo un grasso giro da Mahalaksmi, ufficialmente il nostro negozio di dolci preferito. Il pulmino di oggi non è fashion come gli altri, ma, caspita, coi contromano ci sa comunque fare. La nostra gita è fuori Mysore. Viaggiando passiamo per villaggeti colorati, strade intasate da caprette, gente che pedala con l’impossibile caricato sulla bicicletta. La prima tappa è un tempio dedicato a Vishnu, a dir poco spendido. Il nome del tempio è Somanathpur e incise sulle pareti esterne ci sono tutte le incarnazioni di Vishnu. La pietra di cui sono fatte le decorazioni è morbida, quando viene estratta, per cui facilmente (si fa per dire) modellabile. Una volta lasciata all’aria e al sole diventa pietra dura. All’interno una serie colonne che sembrano create con il tornio per fare i vasi di terracotta, conducono a tre nicchie dove si trovano tre statue degli avatar di Vishnu. Per chi è appassionato del tema questo tempio è un gioiello, soprattutto se si è accomoagnati da una guida in gamba come quella che ci è capiatata oggi. Terminata la visita, una capatina dal venditore di noci di cocco.

Si riparte alla volta dei templi di Shiva, molto più recenti e sicuramente meno affascinanti di quello antico di Vishnu, ma a loro modo interessanti. Il pulmino ci lascia in riva a un fiume dove una folla incredibile di indiani si affolla per fare il bagno e navigare su delle enormi padelle da paella. Troviamo la guida anche per questi templi. Un personaggio, un uomo, un solo dente, cappello di lana e idioma sconosciuto. La “guida” comincia a comunicare in inglese, credo, ma una volta accortosi che non capiamo una parola di quello che sta dicendo demorde (beh forse per lui non è proprio il termine adatto) e comincia a parlare in Kannada con Rameshji e il figlio Nyshkal che ci accompagna oggi e che passa la giornata a fotografarci in tutte le pose e in tutti i frangenti. Paparazzo inside. Passiamo una mezzoretta, per fortuna sotto le piante, mentre la guida si esibisce in un racconto apparentemente senza fine che mi verrà poi riportato da Rameshji, ma che non sono sicura di aver compreso del tutto. Penso che dovrò fare delle ricerche. A grandi linee la storia parla di un re e una regina. Il re è una cozza e sta così addosso alla moglie che questa, non potendo più, gli lancia contro un anatema così potente che questo muore e la zona del tempio viene sommersa dalla sabbia.

Cominciamo il giro dei templi, disposti a quadrato. Il primo contiene una lingam, simbolo fallico di Shiva, che ha la particolarità di essere marrone, pare unico nel suo genere, ma non mi è ancora chiaro perchè. So solo che la guida sdentata continuava a gridare brown come se si trattasse di qualcosa di eclatante. Anche questa cosa va verificata… continuiamo il nostro giro dei templi. In uno di questi troviamo la raffigurazione di uno Shiva (coi baffi, un po’ deludente, lo preferisco rasato) il cui torace ricorda in maniera incredibile il muso di una mucca. Ma il tempio che mi piace di più (il più brutto in verità) è quello di Virabhadra, la divinità dei tre virabhadrasana, per chi pratica Yoga.

Arriva l’ora di pranzo e Rameshji ci porta a mangiare in un posto che ha dell’incredibile. Entriamo, rigorosamnte senza scarpe, in una porticina, di una casetta bassa, che assomiglia di più a uno sgabuzzino che a un ristorante. L’ingresso è un corridoietto angusto che porta in un’altra saletta angusta e odorosa di cibo e altro. Fa molto caldo perchè in una sorta di cunicolo si trova la cucina, un piccolo falò a terra con ciotole, pentole e vasetti sparsi. Mi si chiude lo stomaco. Continuo a seguire Rameshji, mi fido, se ci ha portati lì un motivo ci sarà. E infatti eccolo il motivo; in fondo alla sala una porticina ci porta all’esterno. Due tavoli lunghi e stretti, qualche sedia di plastica, un tetto spiovente di legno ci accolgono per il pranzo. Ci sediamo in fila tutte dallo stesso lato del tavolo e ci apparecchiano il posto con foglie di banano come piatti, salsine e intingoli e chapati. L’entusiasmo sale alle stelle e facciamo il bis… tris… 

L’ultima tappa è il tempio che l’anno scorso è stato teatro della nostra avventura bollywoodiana. Delusione. Le statue non sono ancora state rimesse a posto e senza tutte le decorazioni il tempio, costruito solo quindici anni fa, ricorda le quinte di un’attrazione di Gardaland. Ci ricnuoriamo facendo un po’ di foto divertenti. Rameshji, oltre a essere il mago degli adjustment, è anche il mago delle coreografie e si sbizzarisce sistemandoci in pose e gruppi assortiti. Non passa giorno che non ci si sbellichi dalle risate.