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Qualche giorno fa, al termine di una mia lezione di Shiva Flow, ho avuto uno scambio di battute con un praticante, Walter, che sta seguendo anche il nostro Corso di Formazione Insegnanti Yoga, circa le differenze di pratica tra Shiva Flow appunto e Ashtanga Vinyasa. Dopo un paio di giorni Walter mi ha scritto per condividere con me le sue successive riflessioni. Vorrei condividerle con tutti. Le ho trovate sorprendenti. Sono rimasta felicemente sorpresa di come le mie intenzioni nel preparare le mie sequenze per questa mia personalissima pratica di Yoga risultino, almeno per alcuni, così giare, limpide e lampanti. 🙂 Grazie per averle messe nero su bianco.

“Vorrei condividere con te una cosa, riallacciandomi a quello che si diceva ieri sera rispetto ad Ashtanga vs. Shiva Flow.

Ho bisogno da sempre (cioè da quando pratico e mi occupo di certe discipline) di sentire, filtrare ed elaborare la mia pratica fisica a livello sia emotivo ed emozionale che a livello energetico e “sottile”.

E ovviamente questo processo è (a maggior ragione, mi verrebbe da dire) in atto anche con le discipline che sto praticando, imparando e scoprendo da voi e soprattutto insieme a voi.

Ora, ripartendo da quel concetto di “maschile” da te associato ieri all’Ashtanga…ho capito oggi cosa mi lega, a livello di energia profonda, a Shiva e cosa ad Ashtanga. E la cosa curiosa (per quanto ovvia) è che rappresentano (i miei) due estremi e lati opposti. Quasi fossero agli antipodi…e quindi profondamente complementari.

Stamattina ce l’avevo chiarissimo in testa (solo che non avevo tempo di scrivertelo), vediamo se adesso riesco ancora a riformularlo in qualche modo.

La pratica dello Shiva Flow per me rappresenta la gioia e la leggerezza. E più precisamente la gioia e la leggerezza della e nella pratica, dove movimento corporeo e flusso energetico sono all’insegna dell’apertura, dell’allegria e del piacere: il puro e immenso piacere (nel senso più gioioso e giocoso del termine) di praticare.

Il flusso come espressione profonda dell’energia vitale. E “solare”.

Ma ciò che è ancora più importante è che in Shiva, per me, la comunicazione è con l’esterno o, meglio, dall’interno verso l’esterno. Dalle emozioni al corpo.

E’ il corpo a esprimere le emozioni che già vivono dentro di me o che la pratica stessa mi suscita. E difatti non a caso mi trovo spesso a sorridere mentre pratico o addirittura mi viene da scherzare e fare delle battute. Shiva mi rende allegro. E mi riconcilia con il tutto.

L’Ashtanga, invece, lavora proprio all’inverso. Mi porta e riporta nella mia parte seria, forse addirittura seriosa…quella che richiede disciplina, forza, determinazione e volontà (il maschile, appunto).

Ma soprattutto: mi porta nei meandri più bui e profondi, nei miei angoli più nascosti, in quelli più ardui da penetrare…ma anche in quelli più rocciosi, che hanno bisogno di dominare e di essere dominati. E che quindi a volte fanno anche più paura.

La pratica dell’Ashtanga si fonde e mescola con il mio lato spirituale e…mistico. Mi porta nella parte più buia e silenziosa di me. Quella bella. Che allo stesso tempo è però anche quella più difficile da affrontare e capire.

Difatti, la comunicazione è inversa: dal corpo (materiale) verso l’interno (le energie spirituali). E’ proprio attraverso i suoi movimenti così potenti, a tratti duri, che vado a contattare, direi quasi a scovare, le mie parti più profonde.

Difatti, l’effetto è proprio opposto: dopo Ashtanga, di solito mi chiudo nel silenzio. Non ho voglia di stare e/o parlare con nessuno…se non dentro di me e con me. E se posso, non dico nulla o il meno possibile per almeno un’ora. Riduco gli scambi con l’esterno e potenzio le voci interiori. Per poi riemergere pian piano…ma solitamente l’eco mi accompagna cmq ancora per un bel po’ di tempo.”

E ancora…

“Perché oltre al discorso sole (=luce) vs. luna (=ombra) e comunicazione verso/con l’interno vs. comunicazione verso/con l’esterno, personalmente trovo interessantissima e fortissima la differenza che le due discipline hanno nell’approccio e nel confronto con i propri limiti, fisici e mentali.

In Shiva, i (propri) limiti vengono affrontati in maniera morbida e amorevole. Quasi materno, oserei dire. Energia femminina ai massimi livelli.. Cioè: li percepisci, li vedi, li senti…ma quando ti ci trovi davanti, il focus non è sul superarli. Ma sull’accettarli e soprattutto sull’accoglierli. E sul sapere che rispettandoli e accogliendoli, prima o poi probabilmente li supererai (cosa che poi è facile succeda anche abbastanza in fretta). E che se anche non dovesse succedere, non ti sei perso niente…perché hai cmq realizzato e vissuta la magia del tuo corpo.

E’ quello che a me è capitato, ad es., con Urdhva Dhanurasana. In quel momento superare il mio limite (di sempre) e riuscire a realizzare l’asana non aveva nessun tipo di significato o importanza per me…manco ci pensavo, tanto ero dentro il flusso e intento a sentire e a godermi ogni singola apertura e postura. E proprio quando meno me l’aspettavo, completamente distaccato dall'”obiettivo” com’ero…magicamente mi sono sollevato e ritrovato nell’asana “compiuta”.

Per me quella sera è stata veramente una cosa magica, una gioia che mi son portato dentro per almeno un paio di giorni…come realizzare una cosa senza sforzo e senza quasi aver capito come.

Tant’è che quando un paio di giorni dopo mi era capitato di riprovarci e (quasi) di non riuscirci (ad Ashtanga mi sembra)…mi è scappato un sorriso, tipo: “Beh, ovvio, no? Qui sto facendo un’altra cosa.”

L’Ashtanga, invece…ti pone di fronte ai tuoi limiti in maniera severa, facendoti però sentire in ogni momento che quei limiti non sono tuoi nemici, bensì tuoi insegnanti…che sono lì a chiederti di essere superati e soprattutto che – per quanto in quel dato momento i centimetri che ti separano dall'”obiettivo” siano magari ancora tanti – non ti manca niente per poterli superare. Che hai tutto e che dipende solo da te. E non solo dal punto di vista fisico (anzi, quello è forse l’aspetto meno importante e evidente, almeno per me), ma proprio dal punto di vista mentale, emotivo ed energetico.

E la forza, l’energia, la potenza che senti nascere e crescere in te mentre pratichi Ashtanga, ti fanno proprio capire come tutto sia possibile e raggiungibile. Laddove l’obiettivo per me è sempre il percorso, mai la meta in sé.

Ma soprattutto, quel che più conta è che: l’energia esplosiva dell’Ashtanga ti fa venire VOGLIA di superarli. Proprio non vedi l’ora di riimmergerti e abissarti nuovamente dentro di te, di scovare e forse anche di “scontrarti” con i tuoi limiti (in senso costruttivo però, non inteso come guerra), di trovarteli lì di fronte e di provare a superarli attingendo a quell’energia di forza e potenza che l’Ashtanga riesce sempre a produrre. L’Ashtanga ti fa proprio sentire, capire e vivere quanta forza ed energia c’è in te…e quanta altra forza ed energia sei potenzialmente in grado di produrre. E questo per me è altrettanto magico.

Lo Spirito Materno vs. lo Spirito Paterno…nell’approccio ai propri limiti. Nel rapporto con se stessi e con le proprie energie fisiche, emozionali e spirituali. Con il proprio lato sole e la propria luce da una parte e le proprie ombre, i propri lati oscuri.

Provarli, sperimentarli, viverli entrambi…è un viaggio pazzesco.”