Ieri sera Rameshji ci ha proposto per oggi un gita al tempio di Shiva e a quello di Chamundi: facciamo una pratica di un’oretta e poi partiamo. Convinte di ciò siamo andate a dormire, ignare di quello che sarebbe accaduto il giorno seguente. La mattina ci svegliamo con tutta calma. Sheetal ha un esame a Bangalore, così non abbiamo la sessione di pranayama e filosofia delle 7. Alle 13 arriva Rameshji, con un ragazzo che oggi si unisce al nostro gruppo. Credo che non lo vedremo mai più.
Iniziamo con il mantra di apertura, i millemila saluti al sole e lì scatta qualcosa. La struttura di apertura della lezione prevede 6 saluti al sole classici, 5 saluti al sole A, 1 saluto al sole A mantenendo ogni asana 5 respiri e stessa cosa per il saluto al sole B. Sì, 5 respiri per ogni asana. Che va bene, per carità, ma quando arrivi a Chaturanga cominci a cambiare idea. Oggi al primo Chaturanga da tenere ci è venuta la ridarella. Crdo fosse più una risata isterica, a dire il vero. È partita da Michela e si è diffusa a tutto il gruppo, compreso Rameshji, escluso l’ospite, che ci guarda con gli occhi fuori dalle orbite mentre, ridendo con le lacrime agli occhi, mamtenevamo con una dedizione al limite del commovente il nostro Chatuanga. La pratica è andata avanti fino a quando Rameshji non ha deciso di inserire una serie infinita di inarcamenti, alla fine della quale mi son trovata nel bhujangasana più profondo che io sia mai riuscita a fare. La mia schiena era morbida, il busto allungato e sollevato, il respiro regolare. Che bello. Il sudore mi colava sul volto, gocciolando a terra sul tappetino. Toc, toc. Finiamo con gli ultimi 50 asana (tra i quali un meraviglioso catalogo di varianti in sirsasana) e ci sediamo per cantare il mantra finale.
È uscito il mantra più stonato e sgarrupato che abbia mai sentito. Assolutamente inascoltabile. Mi dico che sicuramente il mantra andrà meglio, ma esce una cacofonia tale che scoppia a ridere anche Rameshji.
Ci buttiamo finalmente in savasana. Rameshji, di fianco a me, si gira, mi guarda: 10 minuti e poi facciamo la pratica di adjustment? Con la mano tremante mi sporgo per vedere che ore siano, la pratica di 1 ora mi è sembrata veramente lunga e pesante, fare anche adjustment un po’ mi preoccupa: sono passate 2 ore! 
– Rameshji, credo sia tardi, dobbiamo lavarci per andare al tempio (per fortuna). Un po’ deluso ci grazia. Nel frattempo il nostro ospite, che si è presentato con una maglietta bianca, é così sudato da sembrare nudo. Ci saluta dicendo che credeva di morire. Amen.
Le gite in India hanno sempre un loro perchè. Rameshji arriva con un pulmino ancora più spacchiuso di quello che ci ha ritirato all’aeroporto. Più che un pulmino è un vero e proprio bus, enorme e coloratissimo. Lui è veramente tronfio di quest’altro colpo messo a segno. Partiamo e subito, non appena arriviamo in autostrada, il nostro conducente taglia le corsie per andare a fare benzina. Bene. Siamo vivi, nessun problema. Si riparte, tocca tornare sulla corsia giusta, ma c’è un cordolo in mezzo che le divide, queste corsie. Quindi? Nessun problema, facciamo un meraviglioso contromano presentandoci proprio davanti alla barriera dei caselli dalla parte sbagliata. Nonostante tutto il viaggio prosegue bene, il tempio di Shiva è vicino e ci arriviamo abbastanza infretta. Durante il viaggio mi diverto a sperimentare con i mudra, così il tempo passa in fretta. Arrivati al tempio, nel cortile principale, ci si oara un’altra scena indiana: davanti alla prima delle divinità del tempio si staglia un sacerdote che, mentre fa le sue funzioni, chiacchiera al telefono. La scena diventa ancora più paradossale quando scopro che sta parlando con Rameshji. Grazie a questa chiamata abbiamo il privilegio di poterci sedere a terra davanti alla statua di Shiva per assistere alla funzione. Mentre frugo nel borsellino per lasciare un’offerta vengo investita da una doccia che mi fa saltare per aria. Mi guardo intorno e vedo la faccia di Rameshji, tutto concentrato, che mi dice, non ti preoccupare, fa bene. Fradicia gli sorrido e lo ringrazio; e mi viene in mente quando l’anno scorso un elefante mi ha fatto la doccia sparando tutta l’acqua addosso, o ieri quando alDevaraja Market una elegante signora in sari di seta gialla si è soffiata il naso per strada mancandomi il piede di un soffio. Usciti dal tempio passiamo davanti alla statua più kitsch del mondo. Ovviamente chiediamo all’autista di fermarsi per poterla fotografare: uno Shiva blu, stile cartoon, alto circa 20 metri. Di fianco, un gabinetto pubblico, fuori dal gabinetto pubblico due tizi fanno la pipì.
Ripartiamo per andare verso il tempio dedicato alla dea Chamundi, la dea di Mysore, un tipino stile Kali e Durga. Non ci risoarmiamo un sorpasso in curva sui tornanti e un altro contromano. Arriviamo. Ci si para davanti una coda imoressionante, che ricorda tanto Gardaland. Mentre siamo in coda incontriamo per caso, nella fila accanto, Nishkal, il figlio del maestro. Incredibile incontrarsi in una ressa di quel genere. L’attesa è lunga. In pochi istanti tutti sanno che veniamo dall’Italia, pratichiamo e insegniamo yoga, Rameshji è il nostro maestro, l’anno prossimo lui verrà prima a Milano, poi a Firenze a tenere dei workshop. Le persone ci toccano le braccia e ci sorridono e Rameshji ci dice che più si sta lì dentro meglio si sta. Comincio a crederci. Una volta davanti alla sala della dea ci prepariamo all’ingresso. La fiumana di genete è tale che per riuscire a uscirne è necessario lasciarsi trasportare dalla corrente, senza opporsi. In men che non si dica ci troviamo davanti alla statua e questa volta la fortuna vuole che passi proprio in quel preciso istante il sacerdote con il vassoio che porta il fuoco sacro acceso. In un lampo ci ritroviamo fuori.
La serata si conclude al ristorante dove mangiamo delle cose incredibilmente buone prima di tornare a casa e scoprire che domani mattina partiamo alle 7. Vado a dormire. Buona notte 😊