Sono seduto sulle scale di casa, Silvia pratica yoga, i bambini sono a letto e intanto io ripenso al week end passato in Serbia, allo stage del nostro Maestro, Shimizu Sensei.
Gesti, movimenti e parole si mescolano nei miei pensieri e come incantesimi canticchiano le loro armonie che colorano le mie emozioni di ispirazione profonda e forte.
Shimizu sensei è un uomo davvero particolare, circondato da un alone di grande fascino e rispetto, non fa nulla per vestirsi di ruoli o convenzioni, è semplice nei modi, diretto nelle parole , tagliente nelle azioni.
Shimizu sensei è come la katana che rappresenta i samurai di cui parla, almeno in parte, con nostalgia.
Ci dice, mentre mostra le tecniche della disciplina a cui ha dedicato e tuttora dedica la sua vita, che molte cose si possono comprare nella vita, o imparare dalla lettura o dai video , ma che il coraggio non si insegna né si compra, si può solo sviluppare interiormente, cercandolo dentro di se e nutrendolo di azioni concrete e , spesso, difficili!
Cosa ci sta spingendo a fare il Maestro? Cosa vuole da noi? Forse , come quando ci racconta dell’indebolimento dello spirito del suo Giappone, ora ormai completamente conquistato dall’economia, anche tutto il mondo sta perdendo forza e coraggio, e ci chiede di volere di più da noi stessi, di fare non tanto quello che la società ci chiede ma forse quello di cui il nostro mondo ha bisogno. “Solo nelle relazioni possiamo trovare la verità” mi dice con solennità mentre prendiamo un informale aperitivo in un locale milanese, e ancora ” devi lavorare sulla persona intera, non solo sulla tecnica e per farlo c’è solo un modo, lavorare su te stesso e sviluppare il tuo coraggio” e poi sorridendo con un viso paterno ” sei ancora molto giovane, hai tempo per farlo”.
Stabile come una montagna e fluido come il mare mentre scivola sul tatami con i suoi passi inconfondibili ci dice che il segreto della felicità dell’essere umano è di conservare la faccia, il cuore e il corpo del bambino.
Ci chiede di abbandonare il “chikara” la forza muscolare o meglio di non fare affidamento su di essa, che l’aikido è un’altra cosa, che è difficile, che richiede dedizione e tanto, tanto tempo e che la maggior parte dei praticanti abbandona proprio perché si stanca di ripetere dei gesti per lungo tempo, e che lo fa prima di capirne l’essenza. Ci incita a insistere, a non mollare, a praticare con seria e ferrea determinazione e a farlo senza compromessi, sinceramente , bene.
Così fedele allo spirito del Budo, e così vicino alla fluidità e all’abbandono della forza fisica, principi essenziali della sintesi operata dal suo maestro, Morihei Ueshiba.
È vero, il Tendoryu è difficile, perché come ci dice il Maestro non si tratta di fare “shihai” combattimento, ne di fare un gesto automatico, vuoto, occorre essere sinceri e saper lavorare sempre in due, non cedendo alla facile tentazione di usare la forza muscolare, perché non funziona, perché non è più aikido!
Allora la promessa che mi faccio, l’invito che faccio ai miei studenti e a me stesso è di essere coraggiosi e sinceri, di praticare senza compromessi, e di accettare il fatto che pratichiamo una disciplina difficile di cui magari raccoglieremo il grosso dei frutti fra molto tempo, anche se la soddisfazione di praticarla è quotidiana.
Meglio sbagliare per anni un movimento giusto che farne bene uno sbagliato!
Lasciamo andare ogni forma di controllo e di superiorità presunta basate su forza fisica , su ” tira, spingi, blocca, peso etc” e cerchiamo di affidarci al kokyu, cerchiamo di camminare sulla via in cui ci viene chiesto di armonizzarci con il KI, e quindi di ripetere le forme, riempiendole di intenzione e sincerità, trattenendoci dall’istinto della lotta e della competizione, sbagliando, essendone sempre più consapevoli, e camminando , camminando , praticando incessantemente per trovare il waza.
Ieri pomeriggio , al termine del keiko, dopo il koshi nage, mi sembrava di aver bevuto una pozione magica che avesse risvegliato ogni parte della mia mente, del mio corpo e della mia anima. Ero euforico, energico e felice, mi sono guardato intorno mentre il maestro ha parlato del nostro gruppo, formato da rappresentanti di 10 diverse Nazioni come della famiglia del tendoryu, e mi sono commosso. Ho pensato che magari i nostri nonni si sparavano a vicenda, magari senza neppure volerlo davvero, e che oggi noi siamo uniti, con i nostri corpi sudati a contatto, con il nostro cuore pulsante e caloroso, davvero come in una famiglia fatta di fratelli e sorelle che pur parlando lingue diverse praticano in una lingua comune che ci unisce in una emozione meravigliosa, e questa è una cosa GRANDE, senza intelletualizzare alcunché, senza fare grandi proclami, ma oggi noi siamo un messaggio di pace e fratellanza straordinario, vivente, pulsante e VERO! E lo siamo grazie all’aikido e a quello che suscita in noi, grazie alla nostra volontà di raccogliere l’ispirazione e grazie ai nostri due grandi maestri, padre e figlio che ne sono sempre di più una ricca e splendente fonte.