È sempre maggiore il numero di persone che si avvicinano allo yoga, come è sempre successo nella nostra società questo avviene per svariati motivi e con diverse dinamiche e modalità. Tuttavia possiamo notare come ci sia un esponenziale aumento dei praticanti e delle persone che desiderano approfondire la disciplina, cercando oltre a quell’ora o due di lavoro sul tappetino, nelle letture, nei raduni, stages o conferenze degli spunti che possano permettere una conoscenza più ampia della cultura millenaria da cui origina questa affascinante disciplina e tutte le pratiche che la compongono oltre agli asana.
Così succede che in alcuni casi le letture e gli approfondimenti portino ad illuminare degli angoli oscuri della propria mente, portando a livello di consapevolezza delle dinamiche avvolte nel velo dell’inconscio e magari date per scontante come normali quando invece sono tendenze o veri e propri blocchi culturali costruiti nell’arco degli anni con comportamenti imposti o proposti dall’ambiente circostante nei diversi ambiti in cui si vive, famiglia, scuola, amicizie e lavoro.
Un argomento che certamente desta curiosità nella letteratura yogica è l’equanimità e il modo in cui vengono proposti emozioni e sentimenti nel cammino del praticante. Spesso usiamo queste due parole come sinonimi quando invece sono molto diversi, per certi versi opposte!
L’etimologia delle due parole ci suggerisce immediatamente la differenza dei loro significati, laddove emozione rappresenta un movimento che da dentro porta fuori come a smuovere qualcosa di sedimentato nel passato mentre il sentimento esprime chiaramente la sua connotazione di capacità dell’essere vivente (non solo umano) di sentire nel momento presente.
Patanjali ci spiega che ogni volta che noi ci allontaniamo dalla nostra natura , cioè ci comportiamo in modo diverso da come suggerito dagli yama e niyama , ad esempio mentendo, oppure ferendo qualcuno, appropriandoci di ciò che non ci serve o spetta, agendo come esseri soli e scollegati dal cosmo e dagli altri quali invece evidentemente non siamo, creiamo delle impressioni nella nostra anima, dei samskara. Questi sono come ricordi emotivi, impressioni incrostate, pesi dai quali sentiamo il bisogno di liberarci nell’arco della nostra esistenza per “ritornare” in contatto con la nostra purezza. Patanjali ci dice che la pratica dello yoga ci aiuta a liberarci dai samskara, proprio perchè ci avviciniamo alla nostra vera natura, calmando i pensieri, sentendo in maniera più libera e pura, essendo quindi liberi di provare dei sentimenti che non siano condizionati appunto da impressioni passate quali sono le emozioni!
Quindi quando, per fare un esempio , una persona ci dice che forse è meglio che noi non facciamo qualcosa perchè magari è meglio attendere un momento migliore o che quella cosa venga fatta da qualcuno che la sa fare meglio, possiamo “sentire” nel presente e avere un sentimento che comprenda tutto ciò che riguarda la situazione, amorevole, che ad esempio porti a desiderare che il risultato di quell’azione che vogliamo compiere sia effettivamente positivo e quindi accettare di buon grado il suggerimento dato con equanimità, oppure andare a scavare inconsapevolmente nella nostra memoria emotiva e trovare qualche samskara che abbia registrato una sensazione di svalutazione ricevuta magari nell’infanzia quando ci è stato fatto pensare di essere degli incapaci, indipendentemente dal contesto o momento, e reagire emotivamente appunto, buttando fuori quella frustrazione con una reazione violenta o di offesa.
Talvolta ci identifichiamo così tanto con i nostri samskara da arrivare a pensare di essere quelle emozioni, e che siccome ci siamo sempre comportanti in un certo modo, abbiamo sempre reagito in una certa maniera noi siamo quella reazione, quella emozione e “decidiamo” che è così che ci comporteremo per tutta la vita.
Come reagiremmo quindi a qualcosa che ci mostra un nostro sé diverso da quello che conosciamo? Come reagiremmo scoprendo di poter essere altro da ciò che siamo sempre stati convinti di essere? Ne saremmo entusiasti e incuriositi? Vorremmo andare a vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio e con gioia accoglieremmo il cambiamento nostro e delle persone che amiamo o saremmo impauriti da esso e difenderemmo le nostre abitudini al motto del “io sono fatto/a così?”
I cambiamenti propri e delle persone più care spaventano quasi tutti, nonostante molti si lamentino del pantano in cui si sentono intrappolati nella loro esistenza, spaventano perché minano proprio l’identificazione dell’ego con quelle impressioni accumulate nel passato che , per quanto possano essere dolorose, essendo conosciute diventano rassicuranti!
Lo yoga ci propone di spogliarci di scafandro e muta e di tuffarci nell’acqua fresca per sentire con la nostra pelle e nuotare in mare aperto con libertà. Siamo quindi incoraggiati a sentire a provare sentimenti, che però siano veri, puri, e liberi dalle catene delle emozioni passate.
Nel pranayama impariamo a controllare l’attività della mente e a indirizzare le energie mentali in modo adeguato alle finalità ed al contesto. Faccio un esempio: se ho bisogno di avere forza fisica energia espressiva e favorire il catabolismo allora aumenterò con le tecniche conosciute l’attività del canale energetico destro del corpo, pingala, mentre se ho bisogno di maggiore capacità di accoglienza, ascolto, rilassamento o anabolismo, allora favorirò il sinistro, ida. Talvolta apprendere il controllo è una facoltà fraintesa e confusa con la castrazione e repressione della facoltà di provare sentimenti, ma non c’è nulla di più lontano dal vero.
Girovagare in un luogo affannandosi per trovare la strada giusta senza avere punti di riferimento e magari finendo per essere angosciati e arrabbiati e invece seguire delle indicazioni o una mappa gustandosi il panorama del percorso che si segue ha a qualcosa a che fare con la sincerità o con la spontaneità? Potremmo dire piuttosto che spesso non siamo affatto consapevoli di come una parte del nostro essere influenzi direttamente e pesantemente le altre. Siamo stratificati me possiamo imparare a far collaborare le stratificazioni della nostra mente e corpo per ottenere il miglior risultato possibile, e per sentire in maniera libera i sentimenti che riguardano la nostra vera natura di esseri luminosi e interconnessi. La spontaneità a quel punto riguarda davvero il rapporto che decidiamo di avere con la libertà di nuotare in quel mare aperto invece che continuare a sguazzare in una vasca di acqua stagnante e torbida, pensando di essere liberi!

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