Questa mattina la giornata sembrava volgere al peggio. Gli inarcamenti hanno lasciato uno strascico pesante. Siamo tutte un po’ nervose e abbiamo veramente poca voglia di praticare. Pranayama e filosofia vanno via tranquille, ma l’ora di asana è pesante per tutti, anche per Rameshji che ci suggerisce di orenderci una fiornata di riposo e andare in giro per Mysore con Sheethal. Cogliamo subito la palla al balzo. Le gite con Sheethal sono le mie preferite. Rameshji ci suggerisce in particolare di andare a visitare un ashram dove si trova anche un posto pieno di pappagalli colorati. La faccia di Sheethal è un po’ perplessa, ma al momento non ci facciamo tanto caso.

Partiamo per l’ashram, gli animi si sono un po’ calmati e in macchina si comincia a sorridere di nuovo. Questo tipo di viaggio è sicuramente bellissimo, ma mette a dura prova sia fisicamente che emotivamente. In alcuni momenti è come avere esposto uno strato di carne viva. Tutto colpisce, tutto fa reagire, nel bene e nel male.

Il tempio dell’ashram è dedicato a Vishnu. Architettonicamente è più simile a un’attrazione di Gardaland; rosa bigbabol, azzurro puffo, giallo titti. Visitarlo con lei però è come aprire un libro di filosofia indiana. Così ci spiega che la bilancia appesa all’ingresso serve a pesare le offerte, a seconda del proprio peso. La ruota in rilievo sul muro d’ingresso del tempio è il chakra di Vishnu, l’arma con la quale taglia le teste quando si arrabbia. Alla sinistra dell’altare vediamo tutte le incarnazioni di Lakshmi e a destra tutte quelle di Vishnu. Facciamo tutto il giro e uscendo passiamo davanti all’altare per Shiva e ci sediamo ai piedi di un piccolo albero votivo, dove i fedeli legano i propri bracciali per vedere esaudite le proprie richieste. Sheethal ci confessa di non avere molta voglia di andare a vedere i pappagalli. Pur vivendo a Mysore non ci è mai stata perchè sono chiusi in gabbia. Mentre camminiamo con aria mesta verso i pappagalli un ragazzo ci avvisa che è chiuso per la pausa pranzo! Evviva! Sheethal propone di andare al museo, ma ci avvisa che alla riapertura dovrà portarci dai pappagalli perché Rameshji glielo ha espressamente richiesto. Le chiedesse di soararsi nello spazio vestita da Wonder Woman lei lo farebbe e anoi non va di metterla in difficoltà, così le promettiamo dhe andremo anche dai pappagalli.

Il museo è un palazzetto fatiscente e scrostato con opere conservate e esposte in modo alquanto bizzarro. Sembra di camminare in una casa pronta per un trasloco, con cose accatastate in giro, ma Sheethal riesce a rendere anche questa visita interessante. Riusciamo a individuare alcuni dipinti che riportano parti del Ramayana e atre della Mahabharata, ripercorrendo così alcuni degli spunti della lezione di filosofia della mattina. 

Dopo pranzo ci toccano i pappagalli, non prima di un giro nel giardino dei bonsai. Un luogo di pace e tranquillità dove passeggiamo e eliminiamo le ultime carogne da inarcamento. Siamo probte per i pappagalli, o almeno ci illudiamo di esserlo. Entraiamo in una gigantesca voliera e comicniamo a seguire il percorso. In lontananza sentiamo le urla degli uccelli e man a mano che ci addentriamo cominciamo a scorgere delle gabbie. Ci troviamo improvvisamente davanti a una fila di gabbie di metallo dove pappagalli enormi e meravigliosi urlano. Come ha detto Sheethal, non cantano, urlano. Aumentando il passo per sfuggire a quell’ inferno di dolore passiamo davanti a bellissimi tucani, pappagalli rossi, blu, gialli, verdi, rosa. Le nostre facce all’uscita parlano da sole. Torniamo a casa e ci ripromettiamo di uscire a cena per tirarci un po’ su. Non immaginavamo che il tirarsi un po’ su significasse passare una serata con le lacrime agli occhi dal ridere. Alcune di noi decidono di fare un salto al devaraja market. Mentre andiamo a prendere il tuk tuk incontriamo delle donne indiane chinate. Uno scoiattolo è caduto dall’albero e ansima a terra. Una delle due improvvisa una sorta di rianimazione, manca la respirazione bocca a bocca e le ha provate tutte. Lo scoiattolino sembra riprendersi piano piano, ma ha una zampina rotta probabilmente. Lo prendiamo e lo riponiamo in una nicchia dell’albero dal quale è caduto ripromettendoci di tornare a vedere come stia e lasciargli del cibo. Andiamo via con le lacrime agli occhi e il petto gonfio di angoscia. Sembrerebbe una giornata no, ma ancora non sapevamo che l’omino del tuk tuk ci avrebbe raddrizzato giornata e animi. Capitiamo sul tuk tuk dell’autista più storto e malconcio di Mysore. Il suo mezzo è così nuovo che è ancora tutto sigillato nella plastica, anxhe il tergicristalli. Alessandra si siede davanti di fianco a lui e lui non ci può proprio credere. La guarda con gli occhi fuori dalle orbite ed felice, tanto felice. Ad ogni semaforo si gira a guardarla con gli occhi a forma di cuore e suona e strombazza col clacson per farle la serenata. Dietro noi siamo piegate in due dal ridere.

A cena andiamo a mangiare al green hotel, un posto bellissimo, in stile coloniale, dove i camerieri, come ha notato la Fra, sono vestiti come il palazzo che lo ospita. Mangiamo benissimo, ridiamo di gusto e al ritorno passiamo uno dei momenti più belli di questo viaggio. Ancora una volta in 7 sul tuk tuk, una sopra l’altra, sfrecciamo per le vie incasinate di Mysore con la gente che ci passa di fianco incuriosita dalle risate che provengono dal nostro carretto. Ridono, salutano e suonano, increduli dello spettacolo. Il nostro autista, con una fabtastica fascia paraorecchie da jane fonda si mette persino in posa mentre ci facciamo i selfie per ricordare questa serata. Il risultato potete vederlo nella foto qui sopra… buon viaggio ❤️

Ps al nostro ritorno lo scoiattolino se ne era andato 😊