vrkshasana

 

Drishti ovvero lo sguardo nella pratica dello Yoga. Quando pratichiamo Yoga la nostra attenzione è spesso assorbita dall’asana. Se l’asana è particolarmente impegnativo  la nostra mente è concentrata sullo sforzo, sui muscoli che tremano, su dove mettere mani e piedi, su quando l’insegnante ci “darà il permesso” di uscire da quella posizione. Quando invece pratichiamo un asana per noi accessibile spesso ci capita di pensare ad altro: “ho spento la luce uscendo di casa?”, “Cavoli! Non ho risposto alla mail!” o ancora ” Quando esco da Yoga passo dal super a fare la spesa…”. Nel migliore dei casi il nostro sguardo comincia a vagare passando dall’insegnante  ai compagni di pratica.

Drishti viene spesso considerato una pratica. La pratica che insegna a fissare lo sguardo per spostare l’attenzione dall’esterno all’interno. Personalmente non amo definirlo pratica. Drishti è più uno stato, un modo di praticare ma soprattutto di essere. E si può applicare sempre, o quasi. Beh in macchina per esempio è meglio di no…

Il modo più immediato per capirlo e viverlo è provare a fare una posizione di equilibrio. Vrkshasana per esempio, l’albero. Durante le mie lezioni mi capita di farlo sperimentare prima mettendo i praticanti a coppie, uno di fronte all’altro, e invitarli a fare l’albero chiacchierando, raccontando la propria giornata. Raccontare la propria giornata lavorativa funziona particolarmente bene: in genere un paio di motivi che hanno scosso la giornata si trovano facilmente. Ebbene, molto verosimilmente ci troveremo davanti a un boschetto battuto dal vento, con fronde danzanti e fusti pencolanti. Richiamiamo allora l’attenzione e invitiamo i praticanti a mettersi in silenzio, uno di fronte all’altro e riprovare a entrare nell’albero in silenzio, guardandosi negli occhi. Improvvisamente il vento si calmerà e ci troveremo davanti a un bosco incantato.

La posizione è la stessa. E’ cambiata l’attitudine con la quale la stiamo eseguendo. Di più. Non la stiamo più eseguendo, la stiamo vivendo. Può uno sguardo e un po’ di silenzio cambiare in maniera così radicale il modo di praticare? Sì e no.

perché il silenzio favorisce la concentrazione, lo sguardo volto su un punto fisso ci ancora e ci aiuta a mantenere l’equilibrio.

No perché fissare semplicemente lo sguardo osservando il punto ci distrae comunque, allontanandoci da noi stessi.

In realtà il nostro sguardo è fisso solo in apparenza. Tenere gli occhi fermi ci permette di chiuderci alle distrazioni e rivolgere il nostro sguardo al nostro interno. Mentre fissiamo un punto, un po’ alla volta lo vediamo sfuocarsi, come se, guardando dentro all’obiettivo di una macchina fotografica, girando la rotella ci allontanassimo dal punto di fuoco. In realtà stiamo mettendo a fuoco il nostro vero punto di fuoco, che si trova dentro di noi. Spostare l’attenzione al nostro interno, tuttavia, non significa automaticamente trovare la pace. Anzi. Spesso troviamo o ri-troviamo il vento che prima avevamo affrontato nel boschetto. Potrà capitare che il nostro corpo oscilli, che le fronde ballino leggermente o che il fusto ceda momentaneamente ma l’albero non cadrà.