Molti pensano che per fare yoga sia necessario essere vegetariani, alcuni addirittura lo pongono come barriera di ingresso, poco tempo fa una mia amica mi ha confidato di essere stata accolta in un centro yoga da una persona che con aria diffidente le ha detto ” per fare yoga non devi bere, fumare e devi diventare vegetariana, se vuoi iniziare ti metti in ultima fila e cerchi di seguire quello che fanno gli altri, dopo un po’ impari”… Un po’ come PaiMei di kill bill per intenderci, sicuramente avrà la sua logica e la sua finalità ma temo che questo tipo di approccio per i miei gusti sia decisamente un po’ estremo e generato da una forma di esaltazione che esclude le persone invece che includerle.
Ora cercando delle motivazioni reali per le quali una persona che pratica yoga dovrebbe o potrebbe voler essere vegetariano sicuramente compare uno dei principi enunciati negli yoga sutra di Patanjali, ” ahimsa” la non violenza, l’enunciato in realtà dice che “la persona che rinuncia a qualunque forma di violenza provoca un circolo virtuoso di buoni sentimenti e che in sua presenza le altre persone avvertiranno un senso di benessere e una crescente voglia di fare del bene “.
A dire il vero a parte questo nessun altra fonte antica o storica indicherebbe che gli yogi/yogini dovrebbero escludere prodotti animali dalla loro dieta. Nello hatha yoga pradipika (lanterna sullo hatha yoga, datato 1400 d.C.) l’autore riporta questa regola di alimentazione per il sadhaka (praticante) “il cibo del sadhaka dovrebbe essere molto dolce e grasso” intendendo presumibilmente il ghee burro locale, come lubrificante intestinale per liberare i visceri. Tralasciando le differenti tradizioni alimentari che prevedono naturalmente una storia diversa per ogni Paese , derivante dalle produzioni agricole locali e dalle piante che crescono alle diverse latitudini, possiamo pensare agli aspetti energetici, vibrazionali del cibo. A tale proposito è stato scritto e detto tanto, pareri nati da menti più o meno autorevoli, in alcuni casi provenienti dal mondo dello yoga o da altri ambiti della ricerca spirituale e dei percorsi iniziatici, alcuni sostengono che cibarsi di animali morti comporti un appesantimento del proprio corpo emotivo o spirituale, parere che può essere normalmente accettato da chi è già dentro a questo modo di pensare e che magari ha già fatto una scelta del genere ma che altrettanto normalmente viene considerato troppo lontano e impalpabile da chi vive nella “realtà” di tutti i giorni. Entrando più nel tecnico Sri K. Pattabhi Jois nel suo libro ” yoga mala” mentre parla degli effetti benefici di baddha konasana per l’apparato escretore e in particolare per le affezioni dell’ultimo tratto intestinale, suggerisce che il praticante che voglia realmente migliorare la condizione del suo tubo digerente dovrà scegliere del cibo sattvico e astenersi da quello rajasico e tamasico. Immagino che molti di voi stiano strabuzzando gli occhi quindi spiego quanto ho appena citato. Nello yoga l’universo viene macroscopicamente descritto come l’equilibrio di tre vibrazioni energetiche che sono il Tamas, cioè l’inerte l’immobile il terreno e il pesante, il Rajas ovvero l’azione il movimento e anche l’eccitazione, il fuoco, e il Sattva, l’idea il leggero , lo spirituale, l’aria.
Lo yoga viene definito come la capacità di dirigere la mente e acquietare i vortici di pensiero, questo mira ad elevare la propria essenza nel mondo sattvico secondo il principio che l’idea muova l’azione e questa porti movimento al corpo fisico, mentre l’esatto contrario è ciò che succede quando siamo spinti dall’istinto animale (eccesso di rajas) o dalla pigrizia ( eccesso di tamas). Ho usato appositamente eccesso perchè ricordo che solo da un rapporto equilibrato tra le tre vibrazioni può nascere uno stato di equilibrio dell’essere umano.
Tornando quindi al cibo potremmo dire facendo eco a Pattabbhi Jois, che il cibo tamasico appesantisce e rende più pigri, mentre quello stimolante, tra cui sicuramente possiamo annoverare le carni, alimenta il fuoco rajasico e aumenta la tendenza a lasciarsi dominare dagli istinti animali.
Un ulteriore riferimento culturale che trovo molto evocativo ce lo porta sant’Ambrogio , cultore del Sanscrito e della storia antica che traducendo dal greco la storia di Alessandro il Grande raccontò di quando il celebre condottiero arrivò in India ed invece di essere accolto da eserciti o popoli spaventati trovò i sadhu , persone in pace con se stesse e con il mondo che non fecero più di tanto caso alla sua presenza e questi incuriosito dalla loro vita li interrogò su svariati temi, parlando di cibo e del motivo per cui non mangiassero carni uno di loro rispose ” non farò del mio ventre una tomba!” Queste sono alcune delle immagini o dei pensieri che potrebbero far pensare ad una necessaria coincidenza tra la scelta di pratica yogica e la scelta alimentare vegetariana ( o vegana, anche su questo potrebbe scrivere molto, ma forse è già stato scritto troppo!) tuttavia ritengo che sarebbe davvero sbagliato farla diventare anche solo una regola non scritta, perchè come in altri casi quali per esempio il bramacharya ( contenimento sessuale) e il samtosha (frugalità) è facile trasformare una regola in una sorta di dittatura interiore, di imposizione frustrante e castrante, e come tali percorsi destinati a fallire o a generare grande rigidità caratteriale. Ritengo invece che come nei casi sopra citati anche la scelta di alimentazione vegetariana sia una conseguenza possibile della pratica dello yoga, che , se fatta entrare nella propria vita con gioia ed entusiasmo e se perpetrata con costanza e frequenza porta il praticante a diventare naturalmente più sensibile sotto ogni aspetto e a ricercare gioia, piacere e armonia in ogni cosa della vita. Il cibo non è solo nutrimento per le cellule, non è solo soddisfazione del fabbisogno di proteine carboidrati vitamine, sali etc.. Questi fattori, anzi al contrario, non sappiamo nemmeno cosa siano se non con una piccolissima e straordinariamente sopravvalutata parte della nostra mente, quella che accumula nozioni e le confronta! Il cibo è invece oltre che fonte di sopravvivenza, anche motivo di gioia e condivisione, convivialitá e piacere sensoriale che può essere educato a diverse sfumature di bellezza, dalla vista, all’olfatto per poi finire nel suo impero naturale che è il gusto. Noi italiani lo sappiamo bene, a tavola non ci si sfama soltanto, si vive, si comunica, si ama, si celebra, è importante quindi, per poter avere un rapporto equilibrato e bello con la scelta di alimentarsi in maniera sempre più naturale e vegetariana avere un approccio che tenga conto di questi fattori. A tale proposito voglio concludere con una foto di una cena vegetariana che ho preparato giovedì scorso con tanto amore e con un pensiero che trovo bellissimo e che mi ha colpito molto , quindi cito la frase dello chef Hugh Fearnley Whittingstall autore del libro di ricette vegetariane ” vegetariano gourmand” a cui mi sto maggiormente ispirando in questo periodo che dice ” questo libro di ricette vegetariane non è stato scritto da un vegetariano e non vuole convincervi a diventare tale, ma vuole insegnarvi a usare bene frutta e verdura perchè è il cibo che fa meglio al nostro corpo e al nostro pianeta!”

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