Da quando sono arrivato, una delle domande che mi pongono più frequentemente è ” cosa ti ha spinto a tornare a Mysore?” Cerco di essere più chiaro ed onesto possibile nel rispondere dicendo che è un mix di elementi, tra cui spicca il desiderio di terminare la formazione per gli standard Yoga Alliance e poter fare nel tempo necessario un upgrade della nostra scuola, ma questo avrei potuto farlo in tanti altri posti. Quello che più mi spinge a venire qui è il desiderio di praticare ancora coi miei insegnanti, di sottopormi alle “sfide” della loro guida, e con sfide intendo sempre il tentativo di cambiare qualcosa interiormente  per fare un passo avanti.

In questi giorni sto riflettendo tanto sul modo di studiare tipico di questa latitudine e di quello tipico della cultura europea.

In India è uso comune apprendere le cose che vengono dette dagli insegnanti a memoria, oppure , quando non si può accedere ad un insegnante con esperienza diretta si cerca un testo attendibile e poi questo viene preso per verità. Questo si può ricondurre a Patanjali, nei suoi sutra definisce “pramana” conoscenza vera, quella che deriva dall’inferenza di un insegnante esperto o dalla lettura delle scritture vediche o dall’esperienza diretta.

Il nostro approccio all’apprendimento è inevitabilmente inlfuenzato dal pensiero scientifico e dall’idea che qualunque informazione debba essere verificata e capita, compresa , anche e soprattutto con gli strumenti intellettuali che si dispongono.

Il capire è appannaggio di una cultura che era precedente a Patanjali, cultura in cui spicca a la disciplina del Samkhya che metteva il Jnana, la conoscenza sopra a tutto , ma soprattutto che attribuiva alla conoscenza il ruolo di strumento di liberazione ed evoluzione dell’anima. Patanjali invece afferma che non è sufficiente conoscere qualcosa, è necessario praticarlo altrimenti ci si fa un’immagine mentale di qualcosa di cui non si ha alcuna esperienza e che non trasforma interiormente, se non in minima parte, quella intellettuale appunto.

È strano me anche bello rendersi conto di quale sia il periodo storico, riferito ad un pensiero o una scuola di pensiero, in cui si è collocati o di cui si è partecipi, ma in questo caso direi che mi sento di affermare che noi Insegnanti di Yoga occidentali tendiamo a cercare naturalmente una sintesi di questi due approcci. Sappiamo che è necessario praticare qualcosa per poterlo esperire e raccoglierne i frutti ma sentiamo il bisogno anchendi capire quello che stiamo facendo, capirne i dettagli, i  motivi, farlo in pezzi e ricomporlo con sempre maggiore consapevolezza e competenza.

È così che spesso ci troviamo ad avere un livello di esperienza o di cometenza nei dettagli che viene riconosciuta dai locali, dagli Indiani come molto alta e solida. In questi giorni sto avendo delle belle conversazioni con i miei maestri ai quali pongo delle domande, durante i nostri colloqui privati, che nascono dalla mia necessità di andare oltre la cultura didascalica e accademica dei libri, e delle tradizioni semplicemente tramandate a memoria, ho voglia e bisogno di conoscenza vera, e per vera intendo messa alla prova dall’esperienza, provata sulla propria pelle. Mi va bene parlare di chakra, energie sottili e mudra,anzi lo desidero, ma voglio delle spiegazioni che vadano oltre a quello che c’è scritto a pagina tot del libro tot dell’esimio sri e guru tal dei tali, voglio, e sono venuto qua in parte per questo, risposte che siano mutuate da quello che è successo alla persona che ho di fronte.

Così sono uscito un po’ dal ruolo di studente ben disposto, simpatico e dedito alla pratica e sto facendo un po’ più il rompiballe ma credo per una buona causa e con il risultato di avere delle conversazioni bellissime che valgono già da sole il prezzo ( in ogni senso) di questo viaggio.