Questa mattina la pratica non è stata nè leggera nè lenta. Rameshiji ci ha fatto trottare, infilando qua e là nuovi asana sempre più strani. Lui lo sa. Si vede. Ad ogni aggiunta si gira e sorride con aria sorniona mentre noi arranchiamo grondanti sudore. Arrivati a Salamba Sirsasana (verticale sulla testa) fa partire il conteggio, insanscrito come sempre. Ekam (1)… Dviiiii(2)…triniiii (3)….Sente dei rumori all’esterno. Esce e ci lascia lì a testa in giù, a contare mentalmente. Arriviamo a 20. Finalmente entra. Credo che sorrida, io non lo so, sono a testa in giù con le mani tutte sudate che mi scivolano, mentre urla allegramente chattwariiiii (4). Scoppio di risate (isteriche credo). Finita la pratica, con un Savasana super, ci dà appuntamento per le 12.30. Oggi andiamo in gita. Un percorso breve, dice. Domenica il nostro viaggio sarà più lungo.
Partiamo. Una volta usciti da Mysore e dal solito baccano di motorini, clacson, fischietti e urla ci troviamo ad attraversare paesini incredibili. In mezzo alla polvere, la miseria, le mucche, le capre, le macchina, le bici spuntano catapecchie, case dai colori sgargianti, bambini che giocano per strada e che urlano sorridenti quando ci vedono.  Il programma della gita è fittissimo, ma noi ancora non lo sappiamo. La prima tappa è un tempio dedicato a Vishnu. Per entrare bisogna togliersi le scarpe. Entrare in un tempio con su le scarpe non è rispettoso ed è dannoso anche per chi le indossa. Pare che un atto di questo tipo lasci un carico negativo. Camminiamo sulla pietra bollente a piedi scalzi. Mi sento un po’ come Mino D’amato, ma la bista del tempio è davvero emozionante. Quando ho deciso di andare in India mi sono ripromessa di visitare uno di questi posti, ma non ero certa di riuscire a farlo. La costruzione è imponente e nello stesso tempo leggera. Ogni lato è “ricamato” con sculture grandi e piccole, perfette nei minimi dettagli. Si possono riconoscere Vishnu, Shiva, Krishna, ma anche piccoli pavoni, coccodrilli, manine che formano mudra. Uno spettacolo. L’interno è mozzafiato, oltre che un sollievo per la pianta dei piedi, ormai fritta. All’interno le piccole sculture si ripetono e si procede attraverso un piccolo corridoio fatto di colonne tutte diverse, una dall’alltra, di una bellezza incredibile. Shita, la nostra insegnante di filosofia indiana, mi racconta alcuni aneddoti legati alle divinità presenti nel tempio.

Ramesh preme per partire. Mi dice che abbiamo diverse cose da vedere e che il sole tramonta presto, per cui tutti in macchina. Ci fermiamo strada facendo lungo un fiume incredibilmente bello. Sulla suoerficie dell’acqua galleggiano piante fiorite che seguono la corrente. Una ragazza sta lavando i panni, un ragazzo pesca. Ci sediamo sotto uno degli alberi più alti e belli che abbia mai visto e Ramesh tira fuori tutto l’occorrente per fare un pic nic indiano. Preparato da sua moglie. Da quando sono qui non ho ancora mangiato male e ogni giorno assaggiamo qualcosa di nuovo. Finito il pic nic, tra mucche e cani che vengono a cercare di rimediare qualcosina, ripartiamo.

Arriviamo. Ramesh ci invita a lasciare le scarpe in macchina, dovremo fare tutto il giro a piedi nudi. Visitiamo prima un tempio simile a quello appena visto, ma meno affascinante a dire il vero, poi passiamo per un tempietto dedicato a Virabhadra. Ramesh mi chiama subito per farmi notare la posizione dei piedi della statua, identica a quella dell’asana a lui dedicato. Forse pochi mi possono capire, ma è stata una vera emozione. Vedere di persona cose che sto studiando e ricercando è un’opportunità davvero incredibile. Usciti dal tempio di Virabhadra seguiamo un percorso lungo una lingua di sabbia, che ci porta in 5 differenti templi, tutti dedicati a Shiva, per me una pacchia. Non sono templi belli come il primo, più antico, ma i segni e i simboli che vi trovo sono davvero interessanti e mi rimandano a tante cose che ho letto e che ora posso finalmente vedere di persona. Finiamo il giro, passando attraverso gruppi di scimmie che ci osservano un po’ annoiate mentre mangiano. C’è da dire che durante il percorso anche noi non abbiamo fatto altro che mangiare. Il maestro continua a comprare dolcetti di una bontà incredibile  da farci assaggiare. E noi mangiamo. Saliamo in macchina convinti di tornare indietro ma no… Ci dimentichiamo con chi stiamo andando in giro… Dopo un percorso lungo e tortuoso ci troviamo in un villaggetto, più simile a una festa di paese a dire il vero, con tanto di giostre. Da lì Ramesh ci mostra delle cascate impinenti, bellissime, in mezzo al verde. Mentre guardiamo lo spettacolo a bocca aperta, in mezzo alla spazzatura, i bambini ci osservano incuriositi. Siamo gli unici europei in quel posto. Credo ci trovino un po’ buffi. I genitori si avvicinano per chiederci se possiamo fotografare i loro figli. Evidentemente da loro non è ancora arrivata la legge sulla privacy.

Ripartiamo, stravolti e affamati. Durante il tragitto il maestro tira fuori uno dei suoi colpi. Sua moglie ci ha preparato anche dei Samosa da mangiare durante il viaggio. Il viaggio sembra interminabile ma finalmente arriviamo a Mysore convinti di andare a casa a svenire in pace. Ma ancora una volta non abbiamo fatto i conti con lui. La macchina si ferma nel parcheggio di un ristorante (che loro chiamano hotel). Ramesh entra a scegliere il posto e la sala dove mangiare. Sceglie quella con l’aria condizionata e il “maitre” vestito da burattino. La sala chic diciamo. Non avevamo fame, ma nons to neanche a dire com’è andata a finire….